Libertà, accoglienza, relazione e fragilità: le parole chiave di don Ciotti

Don Luigi CiottiDon Luigi Ciotti a Villarbasse

Il fondatore di Libera è intervenuto alla Festa di San Nazario a Villarbasse

Villarbasse – Don Lugi Ciotti è intervenuto ieri alla Festa di San Nazario con una riflessione pubblica sul tema «Salvare la fraternità – Insieme». Introdotto dal parroco di Villarbasse don Luciano Morello, il fondatore del Gruppo Abele e di Libera ha sottolineato con forza il valore della parola «insieme», richiamando i concetti espressi da Papa Francesco: «Siamo tutti fratelli perché l’essenza della vita è relazione: da soli non andiamo da nessuna parte».

«Non esistono gli individui, esistono le persone – ha proseguito don Ciotti -. La radice di questo termine è “pars”, a significare che siamo parte della comunità umana e del creato. Solo quando riconosciamo l’altro in noi, allora riconosciamo l’altro davanti a noi e attorno a noi».

Da queste premesse, don Ciotti ha sviluppato il ragionamento attorno ad alcune parole chiave, iniziando da «libertà», definita come «la massima espressione della dignità umana»; di conseguenza, «non è libero chi è senza lavoro o senza casa, chi è vittima della mafia, dell’usura, della droga, della prostituzione».

La seconda parola richiamata è «accoglienza»: «Nessuno di noi – ha detto don Ciotti – sarebbe potuto nascere se non fosse stato accolto. L’accoglienza è la vita che richiama la vita». In tal senso, don Ciotti si è domandato «come mai nel nostro Paese non si riesce ancora a parlare di ius soli per i bambini che sono nati qui e vanno a scuola qui? Come mai non si riesce a dar loro nessun riconoscimento?».

Don Ciotti si è quindi soffermato sul termine «relazione», che rappresenta «il termometro della nostra umanità»; «L’incontro con gli altri – ha detto – è spesso difficile, ma è il sale della vita. Abbiamo bisogno di riconoscerci».

Infine, don Ciotti ha richiamato la «fragilità», sottolineando come «la consapevolezza di essere fragili ci rende più forti, invece la nostra è una società debole che si crede forte; chi non riconosce la propria fragilità difficilmente riconosce quella degli altri».

Un ragionamento suggellato da un poderoso invito alla speranza: «Il futuro ci chiede di andargli incontro, di accoglierlo e di non restare attaccati alle nostre paure».

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