In provincia di Torino sono 500 le persone impiegate nel settore
Pianezza – Le persone impiegate nei punti di ristoro all’interno delle scuole superiori sono 500 soltanto nella provincia di Torino ma hanno la sensazione, di fronte delle misure del governo per fronteggiare l’epidemia Covid-19, di essere completamente invisibili; si tratta, nella maggior parte dei casi, di imprese familiari.
Martina e Giulia Feletto gestiscono il bar all’interno dell’istituto «Giovanni Dalmasso» di Pianezza: «Abbiamo chiuso – raccontano – il 22 febbraio, come tutti, ma non abbiamo potuto riaprire, come gli altri bar, il 18 maggio perché le scuole sono state chiuse fino al 15 settembre. Praticamente dal 22 febbraio a oggi non abbiamo lavorato, tranne poche settimane da metà settembre a metà ottobre, prima che iniziasse la didattica a distanza; quale impresa può resistere oltre otto mesi senza lavorare?».
Si tratta di una categoria che in base alla classificazione delle attività economiche (codici Ateco) rientra tra i bar, pur avendo caratteristiche specifiche. Queste imprese, infatti, da un lato offrono servizi a tariffe convenzionate, in base ai contratti stipulati con le scuole (che hanno una durata di tre anni), dall’altro lato pagano un canone alla Città Metropolitana di Torino, proprietaria di gran parte degli immobili scolastici, calcolato in base al numero di studenti che frequentano l’istituto. «Nella situazione attuale – proseguono Martina e Giulia Feletto – non abbiamo alcuna prospettiva, perché con la didattica a distanza non siamo nella condizione di lavorare».
Per rappresentare le loro istanze con maggior forza, i gestori dei bar scolastici hanno formato un gruppo: «Chiediamo sostanzialmente tre cose: la proroga dei contratti in scadenza con le scuole, quanto meno per recuperare questo anno perduto, un ragionamento sui canoni di locazione con la Città Metropolitana, e poi non possiamo continuare a pagare le tasse come se stessimo lavorando normalmente».
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